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«Quanti popoli hanno conosciuto l'esilio, con fagotti e filo spinato hanno vissuto sulla terra degli altri, hanno pregato un dio assente, hanno pianto per una mancanza che non si riesce a precisare. Spettri, non uomini. Uomini che mantengono il nucleo autentico di sé e non riescono a farlo entrare in dialogo con gli altri, uomini privi di un copione, senza stirpe, senza padre, figli di se stessi, figli di lunghe violenze parallele». Con uno spiazzante colpo di teatro, il 'Prologo in Cielo' che apre il libro proietta su fondali metafisici il lungo strascico di guerre ed esili che hanno segnato la storia dell'Istria e d'Europa dalla Seconda Guerra Mondiale ai conflitti balcanici degli anni '90, fino a configurarsi come una grande e inflessibile fenomenologia del conflitto. L'italiano infoibato e il ragazzino bosniaco profugo per fuggire al macello delle milizie irregolari serbe; il bimbo ucciso da un'agghiacciante e letterale purificazione del sangue e le vittime carbonizzate degli sterminatori col fuoco sono icone atemporali di un polittico che dipana la geografia spettrale dei luoghi e dei popoli «che hanno vissuto e vivono tutti i massacri dell'eterno massacro che ha nome guerra».